Il 20 luglio del 2000 in Italia è stata approvata la legge n°211, che istituisce il «Giorno della Memoria» in ricordo dello sterminio e delle persecuzioni del popolo ebraico e dei deportati militari e politici italiani nei campi nazisti.
Si è stabilito di celebrare il Giorno della Memoria ogni 27 gennaio perché in quel giorno del 1945 le truppe dell’Armata Rossa, liberarono il campo di concentramento di Auschwitz.
A molti antidemocratici e anticomunisti fa comodo omettere il ruolo da protagonista dell’Armata Rossa e cancellare la memoria di tutti quegli uomini e quelle donne che furino deportate e annientate per le loro idee politiche.
Alla decisione del Museo della deportazione di Auschwitz, di escludere la Russia dalle celebrazioni del 27 gennaio, non si può che rispondere con Hemingway:
«Ogni essere umano che ami la libertà deve più ringraziamenti all’Armata Rossa di quanti ne possa pronunciare in tutta la sua vita».
Il merito dell’Armata Rossa, va ben oltre l’oltrepassare i cancelli di Auschwitz-Birkenau. Non possiamo non ricordare gli oltre 21 milioni di morti sovietici nella guerra mondiale, su circa 51 in totale che permisero di sconfiggere il nazifascismo.
Vogliamo commemorare questa giornata con il ricordo di Primo Levi, un testimone di eccezione, che descrive nel libro. “La tregua” l’arrivo dei soldati sovietici al campo di Auschwitz.
“Erano quattro giovani soldati dell’Armata Rossa a cavallo, che procedevano guardinghi, coi mitragliatori imbracciati, lungo la strada che limitava il campo. Quando giunsero ai reticolati, sostarono a guardare, scambiandosi parole brevi e timide, e volgendo sguardi legati ad uno strano imbarazzo sui cadaveri scomposti, sulle baracche sconquassate, e su noi pochi vivi. Non salutavano, non sorridevano; apparivano oppressi, oltre che da pietà, da un confuso ritegno, che sigillava le loro bocche, e avvinceva i loro occhi allo scenario funereo. Era la stessa vergogna a noi ben nota, quella che ci sommergeva dopo le selezioni, ed ogni volta che ci toccava assistere o sottostare a un oltraggio: la vergogna che i nazisti tedeschi non conobbero, quella che il giusto prova davanti alla colpa commessa da altrui, e gli rimorde che esiste, che sia stata introdotta irrevocabilmente nel mondo delle cose che esistono, e che la sua volontà buona sia stata nulla o scarsa, e non abbia valso a difesa”.
Articolo di Giovanni Parrella
N.B. la foto dell’articolo tratta da Il Sole24ore non è quella originale, ma è stata modificata. È questa che trovate qui sotto a sinistra. A destra quella modificata.