“Silvia, rimembri ancora
quel tempo della tua vita mortale,
quando beltà splendea
negli occhi tuoi ridenti e fuggitivi,
e tu, lieta e pensosa, il limitare
di gioventù salivi?
Sonavan le quiete
stanze, e le vie d’intorno,
al tuo perpetuo canto,
allor che all’opre femminili intenta
sedevi, assai contenta
di quel vago avvenir che in mente avevi”.
Giacomo Leopardi
“A Silvia” è senza dubbio una tra le poesie italiane più celebri, amate e citate. I suoi occhi ridenti e fuggitivi dove splendeva una bellezza stroncata da un’esistenza conclusasi troppo presto, sono lo specchio in cui un Leopardi innamorato rifletteva la sua incapacità di vivere appieno una vita meritevole di esserlo.
Scrive Leopardi: “Il più solido piacere di questa vita è il piacere vano delle illusioni. Io considero le illusioni come cosa in certo modo reale, stante ch’elle sono ingredienti essenziali del sistema della natura umana, e date dalla natura a tutti quanti gli uomini, in maniera che non è lecito spregiarle come sogni di un solo, ma propri veramente dell’uomo e voluti dalla natura e senza cui la vita nostra sarebbe la più misera e barbara cosa. Onde sono necessari ed entrano sostanzialmente nel composto ed ordine delle cose”.
Si può parlare dunque di ottimismo leopardiano? Già De Santis, paragonando Leopardi a Schopenhauer aveva sostenuto la tesi secondo la quale il pessimismo leopardiano fungerebbe da coadiuvante nell’apprezzare la vita ed attaccarvisi più saldamente. Dissidenti giudizi sono giunti dalla critica letteraria, si sono espressi, tra gli innumerevoli: Croce, Gentile, Binni, Luperini; ma il riconoscimento più prestigioso arrivò da parte di Sainte-Beuve che annoverò Leopardi tra i grandi poeti del titanismo europeo.
Lo scrittore contemporaneo Alessandro D’Avenia nel suo “L’arte di essere fragili” ha offerto ai lettori una prospettiva singolare volta ad apologizzare la fragilità ed erigerla a punto di forza. Leopardi, infatti, ha sempre goduto di una pessima reputazione in quanto affrancato dal marchio di fabbrica di pessimista e sfortunato. In realtà Leopardi era famelico di vita e di infinito e le sue parole sono ancora in grado di toccare nel profondo offrendoci la possibilità di rileggerle con altri occhi e altre lenti; e, perché no, di guardarle attraverso gli occhi ridenti di Silvia.
Eleonora Nucciarelli