C’è un uomo che fa un lavoro misterioso, che parte di continuo, che si lascia trascinare via dalla vita; sa di non poter dominare gli eventi, ma crede anche che tutto troverà, prima o poi, la sua collocazione; ed è forse questo spirito di speranzoso abbandono al fato che ne fa un disilluso ottimista. Poi, sul suo cammino incontra il gestore di un locale che gli fa comprendere qualcosa di più su di sé e sugli altri.
Ma c’è soprattutto un trauma che guida gesti consci e inconsci: il ricordo di un incidente accadutogli da bambino. Un’auto che lo “prende” e lo “trasporta” prima tra la vita e la morte, poi in una lunga convalescenza. Ecco “Preso”, un romanzo che non divide in maniera manichea gli episodi della vita, ma che si confronta con “l’agire” nella totalità della sua espressione.
Il protagonista è un uomo catturato ogni giorno dalla volontà di esistere, contro cui nessuno può opporsi, anche quando se ne rimane delusi. L’istinto di sopravvivenza, anche in condizioni estreme e precarie, appare, nel bene o nel male, miracoloso. Attraversare il tempo come una “X” che rotola verso il nulla, è infatti la cosa che più preoccupa gli uomini. Scomparire senza lasciare qualcosa di noi sulla Terra, ci porta tutti ad avere quel naturale senso di angoscia verso la morte.
C’è qualcosa di stoico in questo romanzo, ma è un bluff che l’autore mette bene in mostra; più che altro, si può parlare di un atteggiamento che sa di difesa contro le intemperie. Un’accettazione che si autoimpone. “Preso”, però è anche una denuncia contro il “pensiero unico”, della truffa costante che la quotidianità commette alle nostre spalle in tema di “libertà”.
Non c’è tra queste pagine solo la storia di un personaggio, ma anche quella composta dai desideri e dalle idee sublimate. A quell’incidente accadutogli da bambino, quest’uomo ormai adulto, a distanza di decenni, risponde con una “presa di coscienza”, ossia non poter spiegare perché le cose accadono e, nel suo caso, perché qualcosa di terribile sia successo a lui.
Ma cos’è il male? Come trovare anche nella disgrazia la parte buona di ogni cosa? Forse, il fatto che nulla può essere davvero spiegato fino in fondo, obbliga il protagonista ad assumere il ruolo di “uomo di azione”. Ma come spesso accade, è sempre l’imprevedibile che ci induce a scegliere ciò per cui siamo pensati.
Recensione di Martino Ciano