Molti anni più tardi, quando ho detto a un amico scrittore che avrei voluto scrivere un romanzo sui capelli delle nere, intendevo proprio i capelli come tali, ma anche come espediente narrativo, come elemento identitario e come metafora”.

Questo è un passaggio tratto dall’introduzione al romanzo “Americanah” di Chimamanda Ngozi Adichie, scrittrice nigeriana che vive negli Stati Uniti. Ed è un passaggio che ben ci introduce nei temi di questo libro che nelle sue quasi cinquecento pagine ci trasporta nel mondo della “nerezza”, come la definisce la stessa autrice, ovvero quel mondo di emozioni, sentimenti, cultura e stile di vita che appartiene ai neri e alle nere. Ma l’autrice opera una ulteriore distinzione, quella fra i neri americani e i neri non americani. Una differenza che diventa più evidente e palpabile quando la protagonista del romanzo, Ifemelu, si trasferisce per motivi di studio dalla Nigeria negli Stati Uniti e, improvvisamente, scopre di essere nera.

La parabola esistenziale di Ifemelu è costellata di successi nel contesto universitario, tanto da assicurarle un posto nella prestigiosa università di Princeton, una relazione con Blaine, affermato accademico, circondata da amici colti e raffinati che nulla hanno a che fare con il variegato mondo che ha lasciato, quindici anni prima, in Nigeria. Eppure, il richiamo della sua terra ad un certo punto diventa predominante, tanto da condurla in un salone di parrucchiere afro dove farsi le treccine e riconquistare, anche a livello estetico, la sua africanità, pronta per il ritorno a casa.

La Adichie, con maestria e con un linguaggio che spazia dallo slang americano a quello africano/nigeriano, ci prende per mano e ci fa percorrere la parabola di vita di Ifemelu, fra blog e relazioni amorose, fra sentimenti di appartenenza e crisi di esclusione, in un altalenante viaggio fra i rapporti che segnano una società apparentemente aperta e accogliente come quella americana, ma che in realtà cela chiusura e a volte snobistico settarismo.

Dal suo arrivo in America, si era sempre acconciata i capelli con lunghe extension, sempre intimorita dai costi elevati. (…) E quindi lisciarsi i capelli era una avventura nuova. Si sciolse le treccine, attenta a non graffiarsi la cute e a lasciare intatto lo strato di sebo che sarebbe servito da protezione”. Capelli che si allisciano per poter sostenere un colloquio presso una prestigiosa agenzia e sperare così di ottenere il lavoro. Capelli che tornano imbrigliati nelle tipiche treccine afro per affrontare il ritorno a casa, in Nigeria. I capelli come metafora e strumento per farsi accettare, per sentirsi inclusi in un contesto nuovo e diverso. Ma anche come strumento per farsi accogliere e accettare di nuovo, nel contesto vecchio e conosciuto.

Il romanzo della Adichie è una denuncia gridata della situazione dei neri americani, del razzismo che ancora imperversa nella società statunitense e che, paradossalmente, spesso si annida anche all’interno delle stesse enclave nere. Particolarmente toccanti i passaggi in cui la protagonista vive con ansia l’elezione di Barak Obama alla presidenza degli Stati Uniti. Un evento di portata storica, che ha dato speranza a milioni di neri americani ma che forse, alla fine, non ha scalfito minimamente quello zoccolo duro di razzismo e intolleranza che negli anni successivi ha ripreso il sopravvento nella società americana.

Un romanzo che, con toni a tratti ironici e divertenti, mette sul piatto molti spunti di riflessione, sul tema della razza e dei rapporti umani e che ci apre una finestra su mondi poco conosciuti, come per esempio la società nigeriana e le peculiari relazioni sociali di cui è intessuta.

 

Recensione di Beatrice Tauro

 

Titolo: Americanah

Autrice: Chimamanda Ngozi Adichie

Edizioni: Einaudi ET

Pagine: 494

Prezzo: € 15,50

 

 

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