“Ed io ho guardato in su le prime stelle:
l’infinito mi ha dilatato il cuore”
Antonia Pozzi, Mia vita cara.
Cento poesie d’amore e di silenzio
Bisogna entrare con passo felpato nell’intimo di Antonia Pozzi dal momento che, nella sua breve esistenza interrotta volontariamente, ha scritto poesie che sono rimaste indelebili come grida di dolore, ma pregne d’amore.
Amante della musica, dello sport e della fotografia, Antonia, vissuta nel periodo dei ruggenti anni Venti, scrisse versi leggeri e aggraziati che fanno ancora oggi un’eco potentissima.
Dell’umanissima poetessa, che si tolse la vita a soli ventisei anni, colpisce la discrezione, l’umiltà, la purezza e la capacità di comprendere che siamo così piccoli dinanzi all’Universo ma che del nostro passaggio in questa vita terrena possiamo fare un sentiero, magari tra le ridenti montagne, che fan davvero solleticare il ghiribizzo di cose leggere. Come Emily Dickinson e innumerevoli altre lumeggianti voci, quella di Antonia è rimasta strozzata, le sue poesie sono state infatti scoperte e pubblicate solo dopo la sua morte.
Nella raccolta Mia vita cara. Cento poesie d’amore e silenzio, curata dalla promettente scrittrice Elisa Ruotolo per Interno Poesia, sono riportate le seguenti parole: “Sono convinta che Antonia amasse disperatamente la vita e sentisse il fuoco attraversarla come riesce solo a chi è ferito: è l’animale che può contare su una zampa in meno che comprende il senso e il valore della corsa”.
Come si può non immaginarla mentre guarda il suo cielo, le sue stelle. Quell’infinito che le dilata il cuore sembra vivificarsi e diventare immagine e colore.
Se dovessi scegliere una tinta capace di rappresentarla sarei indecisa tra il verde dei suoi muschi, tra l’azzurro di quel cielo che anelava e il porpora dei suoi “amari rododendri”; ma sul finale non avrei più dubbi: Antonia sarebbe del colore delle radici, immortale come le sue “mamme montagne”.
Mi è stato chiesto come io riesca a continuare a scrivere di poesia mentre la guerra incombe sull’Europa, che nel nostro immaginario credevamo protetta e tutelata dalle democrazie. Rispondo semplicemente così: mi sforzo di cercare il bello delle cose un po’ come l’orchestra del Titanic che, sostengono, abbia continuato a suonare fino a poco prima che la nave si inabissasse, per infondere fiducia nelle persone che stavano per naufragare. Credo fermamente che la poesia sia salvezza e consolazione e che possa aprire uno spiraglio di luce anche nella notte più oscura.
Eleonora Nucciarelli