“Io parlo e scrivo in italiano. Parlo anche somalo, con le parole che mi ha insegnato mia madre, la tua ayeyo, una donna che durante l’infanzia è stata una pastora nomade e che per tutta la vita ha avuto nostalgia di quella realtà rurale fianco a fianco con il proprio bestiame, la propria fatica. Ho imparato da lei, e dagli antichi sicomori che punteggiavano il panorama della boscaglia, tutto il somalo che ho dentro”.
Chi parla è Igiaba Scego, scrittrice italiana di origini somale, che con il suo ultimo romanzo, “Cassandra a Mogadiscio” edito da Bompiani, ci regala un altro tassello della storia personale della sua famiglia che si intreccia, inevitabilmente, con la storia del colonialismo italiano nel Corno d’Africa e con quella della Somalia in particolare.
Il libro è una lunga lettera che la Scego scrive alla sua giovane nipote Soraya, figlia di uno dei suoi fratelli. La lettera è una forma di pretesto per raccontare la storia della propria famiglia e di come questa storia si sia nel corso degli anni fittamente intrecciata con le vicende che hanno interessato la drammatica avventura coloniale del regime fascista italiano in Somalia e nei limitrofi stati africani.
Il racconto non cela il dramma, non nasconde il risentimento e la rabbia, ma nonostante ciò si copre di una forma di accettazione che nasce dalla consapevolezza, dalla presa d’atto, che non significa perdono, non significa sottomissione alla Storia che, in Italia, ancora non si ha il coraggio di raccontarla per quello che è stata davvero. Tanto più questo paese cerca di ammantare il suo passato coloniale, tanto più Igiaba Scego sceglie di stanarlo con i suoi lavori, capaci di accendere una luce sulle vicende storiche partendo dalle vicende personali e familiari.
E con le sue indubbie capacità di scrittura, Igiaba Scego mescola la lingua italiana con le sonorità somale per restituire al lettore il più fedelmente possibile la cronaca di una sofferenza che, proprio attraverso il racconto, può trasformarsi in speranza di salvezza.
Il nonno paterno dell’autrice era interprete del generale Graziani durante gli anni dell’occupazione italiana della Somalia; suo padre era un diplomatico e uomo di cultura; sua madre, pastora nomade che poi sparisce durante la guerra civile. Una famiglia benestante che con l’avvento del regime di Siad Barre e la conseguente guerra civile perde tutto e si fa esule in Italia. Il trauma della guerra e della diaspora sono dunque gli elementi che nutrono il jirro, termine somalo che la Scego utilizza nel libro per raccontare un malessere interiore, che lacera dall’interno e di cui non è facile liberarsi.
Attraverso questo memoir l’autrice ha quindi voluto raccontare sì le vicende che hanno disegnato la geografia della sua famiglia, ma soprattutto il nesso che si è fortemente saldato con le vicende storiche del suo Paese. Usare le parole per mantenere viva la memoria, affidare al potere e alla forza delle parole il compito di non lasciar scivolare nell’oblio, o peggio nel voluto dimenticatoio, la Storia che dovrebbe essere per tutti maestra di vita, come ci insegnavano da bambini.
“Memoria. Sei saltata in aria su mine antiuomo. Sei stata fucilata in plotoni d’esecuzione sommari e improvvisati. Sei stata stuprata nel deserto da trafficanti ingordi di dollari. Sei stata ridotta a brandelli da autobombe esplose nella notte per conto di mafie e terrorismi. Sei stata crivellata dai kalashnikov in battaglia. E ora sei sfollata in un campo profughi gremito. E poi insultata nelle vie di un Occidente che non ti conosce né ti vuole conoscere. E così intanto evapori. Via. Lontano. Dalle menti. Dai cuori”.
Articolo di Beatrice Tauro
Titolo: Cassandra a Mogadiscio
Autrice: Igiaba Scego
Edizioni: Bompiani, 2023
Pagine: 359
Prezzo: € 20,00