Quanti eventi – anche violenti – attraversano questo ricordo che è tutto un racconto che Alberto Spampinato fa di suo fratello Giovanni, morto di mafia nel 1972 a Ragusa.
Un racconto che è quasi un dovere sociale, oltre che un sentimento familiare fortissimo che ti segna indissolubilmente l’esistenza. E forse perché intitolare una strada e la sala stampa del comune non è bastato e non basta, perché non è certo sufficiente per spiegare chi era Giovanni, cosa ha fatto. E cosa gli hanno fatto.
Per spiegarlo, per raccontarlo non solo alle nuove generazioni.
La storia di Giovanni, giornalista de “L’Ora” è un ragazzo senza scrupoli, è uno a cui piace scrivere e raccontare, senza reticenze, senza paura.
E dentro queste pagine c’è la storia partigiana del padre, la strage fascista di piazza Fontana, il tentato golpe militare di Borghese, l’eccidio di Avola, il sequestro De Mauro, ma c’è anche traccia del maccartismo impietoso di quegli anni: a scuola i figli dei comunisti erano considerati degli intrusi, e dovrà arrivare il ’68 con la possibilità di iscriversi all’università anche senza aver frequentato il liceo per sovvertire questa idea e “giocarsi” il futuro come tutti gli altri.
Giovanni con la sola arma del sarcasmo tentò di risvegliare i suoi concittadini dal torpore, dal cinismo, dalla vigliaccheria, perbenismo e opportunismo. Lui che prendeva a cuore ogni problema fino a farlo suo, soffrendoci nel volerlo risolvere. Quale qualità migliore per un comunista?
Un libro inerpicato tra le storie familiari e le continue vicende in paese, alternando momenti di felici ricordi con momenti di buio assoluto, di fuga e di abbandono nell’anima.
Giovanni aveva una scrittura allusiva, brillante, ironica, sempre piena di citazioni, e sempre preso dalle inchieste in questo lavoro che il padre non condivideva.
Nel libro di Alberto vi è tutto l’amore non sempre espresso appieno nei confronti del fratello e della famiglia, un libro che prova a rimettere a posto i sentimenti stravolti da una storia troppo grande e dolorosa. Ma è dettato anche dalla voglia di giustizia, di riconoscimento (solo anni dopo la morte di Giovanni viene annoverata come assassinio mafioso), per un qualcosa che gli si doveva e gli si deve ancora.
Una sua inchiesta lo portò a scoprire e scrivere sulla presenza di neofascisti nel ragusano – era il periodo della strage di piazza Fontana – e a qualcuno ovviamente dava fastidio. Fu messa a tacere ogni cosa, mentre Giovanni seguitava a scrivere senza paura. Perché era convinto che fosse dovere di ogni giornalista informare senza omissioni e reticenze su qualsiasi avvenimento, una sorta di rispetto per i lettori, nonostante avesse compreso che le notizie non fossero uguali per tutti (come già la legge, del resto).
di Lorenzo Soriano
C’erano bei cani ma molto seri di Alberto Spampinato
Ponte alle Grazie, Anno 2009;
pagg. 291, euro 15,50