Attore poliedrico e dalla fisicità dirompente, tanto da essere definito “il brutto più affascinante del cinema francese”, Jean-Paul Belmondo, scomparso oggi a Parigi a 88 anni, aveva recitato praticamente tutti i ruoli, dalla Nouvelle Vague con Godard, Sautet e Truffaut, al cinema poliziesco fino alla commedia all’italiana.
Nato a Neuilly-sur-Seine il 9 aprile del 1933, figlio del noto scultore Paul Belmondo, Jean-Paul, dopo un’adolescenza turbolenta e un tentativo di dedicarsi al pugilato (il naso schiacciato rimarrà un tratto caratteristico indelebile), si iscrisse al Conservatoire national supérieur d’art dramatique di Parigi, per poi abbandonare il teatro in favore del cinema. L’esordio al cinema arriva nel 1956, dopo il diploma al Conservatorio Nazionale di Arte Drammatica e alcune recite in teatro ne L’Avaro di Molière e nel Cyrano de Bergerac di Rostand.
Il film doppia mandata di Claude Chabrol del 1959 e soprattutto La ciociara di Vittorio De Sica, con protagonista Sophia Loren lo renderanno popolare nel mondo.
La consacrazione a livello nazionale e internazionale la deve però al film Fino all’ultimo respiro del 1960, dove viene diretto da Jean-Luc Godard. Belmondo lavora anche con Claude Sautet in Asfalto che scotta dove accanto a Lino Ventura mette in mostra le proprie capacità di attore drammatico. Gli anni Sessanta rappresentano un decennio d’oro per l’attore francese che in quegli anni è in film come Leon Morin prete del 1961 e Lo spione del 1962, entrambi diretti da Jean-Pierre Melville.
Riconosciuto ormai come un divo fra i più popolari del cinema francese, con L’uomo di Rio (1964) di Philippe de Broca, Belmondo inizia la svolta del suo percorso artistico verso un filone più commerciale, tuttavia sempre molto apprezzato dal pubblico. Nel 1970 ottiene infatti un enorme successo internazionale con Borsalino, interpretato al fianco di Alain Delon. Ritornerà solo nel 1974 al cinema d’autore con Stavisky, il grande truffatore di Alain Resnais, ma senza riscuotere particolari consensi.
Negli anni settanta si specializza nel genere poliziesco, interpretando spesso molte scene pericolose senza controfigura, intervallando la sua produzione con pellicole drammatiche: in questi anni lavora sotto la direzione di grandi registi come Henri Verneuil, Georges Lautner, Philippe Labro, Jacques Deray e Philippe de Broca. A partire dai tardi anni ottanta, tralasciando crepuscolari pellicole di genere poliziesco, guerra e commedia, come Professione poliziotto (1983), Irresistibile bugiardo (1984), L’oro dei legionari (1984) e Tenero e violento (1987), Belmondo privilegia il teatro, ma ottiene ancora un grande riconoscimento dal cinema nel 1989, quando riceve il Premio César per il migliore attore per il film Una vita non basta di Claude Lelouch.
Nel 2001 un’ischemia cerebrale lo colpisce tenendolo lontano dal grande schermo fino al 2008, quando torna a recitare come protagonista nel remake francese di Umberto D.. Nel 2011 riceve la Palma d’Oro alla Carriera al Festival di Cannes e nel 2016 il Leone d’oro alla carriera al Festival del cinema di Venezia.