“Cora aveva perso le candele. Fu svegliata dai denti di un ratto, e una volta ripreso il controllo di sé strisciò sulla terra della banchina cercandole. Non le trovò. Era il giorno dopo che la casa di Sam era crollata, anche se non poteva esserne sicura. Meglio ormai misurare il tempo con una delle bilance per il cotone della piantagione dei Randall, con la fame e la paura che si ammucchiavano su un piatto mentre dall’altro venivano tolte tutte le sue speranze. L’unico modo per sapere quanto a lungo si è rimasti smarriti nelle tenebre è essere salvati”.
“La ferrovia sotterranea” dello statunitense Colson Whitehead, edito in Italia da Sur, è un romanzo che non fa sconti, che non si nasconde dietro a un perbenismo di facciata, che non edulcora la pillola al lettore che si incammina, al fianco di Cora, la protagonista, nel tremendo percorso verso la libertà.
Siamo nella Georgia della prima metà dell’Ottocento, nella piantagione di cotone dei Randall, dove la giovane Cora, schiava negra, decide di tentare la fuga al fianco di Caesar, utilizzando una misteriosa ferrovia sotterranea. Le condizioni in cui è costretta a vivere nella piantagione, insieme agli altri schiavi comprati dal padrone sono a dir poco disumane e già tempo prima avevano indotto Mabel, sua madre, a fuggire. Cora odia sua madre, che è scappata abbandonandola al suo destino di schiava, ma al tempo stesso la ammira perché Mabel è l’unica fuggiasca che potrebbe avercela fatta a conquistare la libertà al Nord, non essendo mai stata riacciuffata dai cacciatori di schiavi. Cora allora vuole percorrere lo stesso sentiero della libertà che ha percorso sua madre, ma quello che la attende sarà un viaggio duro, costellato di violenze fisiche e psicologiche, di vecchi e nuovi padroni, di spie e delatori. Ma Cora è testarda, ha ereditato il sangue di sua nonna Ajarry, rapita nel suo villaggio in Africa e venduta all’asta all’arrivo sul suolo americano, sbarcando da una nave negriera. Ajarry ha lavorato sodo ma si è conquistata il rispetto dei padroni, arrivando anche a gestirsi un pezzo di terra tutto per sé. Anche Cora avrebbe voluto farlo, ma la ferocia del suo padrone/aguzzino non glielo ha permesso.
Tre generazioni di donne nere, schiave, che perpetuano la loro meschina condizione. Tre donne che, ciascuna a suo modo, si ribellano a tale condizione. Cora fuggirà dalla piantagione dei Randall, avventurandosi nella ferrovia sotterranea, ma le tappe che sarà costretta a vivere non la porteranno a spezzare le catene e a conquistare la tanto agognata libertà. Quella società americana in cui l’ipocrisia bigotta regna sovrana, fagociterà i sogni di libertà di Cora e di quanti come lei cercheranno di liberarsi dalle catene della schiavitù.
“L’idiozia dei nobili sentimenti contro il potere dei soldi” è una frase del libro che ben sintetizza i principi fondamentali della società americana del tempo, principi che ancora oggi, purtroppo sembrano attecchire e proliferare in molta parte del mondo occidentale. Non esiste più la schiavitù così come l’abbiamo imparata a conoscere nell’Ottocento, ma altre forme di schiavismo e di sottomissione sembrano pervadere le moderne società e costringere i più deboli, laddove il “buonismo” dei nobili sentimenti viene schiacciato sotto il peso preponderante dei soldi, e gli esseri umani ridotti, di nuovo, a merce di scambio.
Recensione di Beatrice Tauro
Titolo: La ferrovia sotterranea
Autore: Colson Whitehead
Editore: Sur, 2017
Pagine: 374
Prezzo: € 14,90