“Ti dirò un segreto, una cosa che non insegnano nei templi. Gli dèi ci invidiano, ci invidiano perché siamo mortali, perché ogni momento può essere l’ultimo per noi, ogni cosa è più bella per i condannati a morte. E tu non sarai mai più bella di quanto sei ora, questo momento non tornerà”.
Achille a Briseide –
Dal film Troy di Wolfgang Petersen
La guerra di Troia ha inizio con il rapimento di Elena ma il topos ricorrente della “sottrazione di donna” si ripresenta anche nell’ambito della lite fra Agamennone e Achille per le schiave Criseide e Briseide.
Al di là della bellezza e del fascino dell’indimenticabile poema, convenzionalmente attribuito a Omero di cui ricordiamo la celebre traduzione di Vincenzo Monti, l’aspetto puramente maschilista e la percezione della donna come oggetto di scambio, tipico della società patriarcale, risulta palese se analizzato ai giorni nostri.
Il parallelismo tra la “civiltà della vergogna” a dispetto dell’odierna “civiltà della colpa” risulta così ancora più evidente. Nonostante il colossal di Wolfgang Petersen Troy sia stato stroncato dalla critica in quanto difforme rispetto all’opera originale, resta pur sempre uno potente specchio dal quale ricevere indietro l’immagine di una società in cui la donna è da un lato altissima musa ispiratrice di canti, poesie e gesta, mentre dall’altro mera schiava da assoggettare e dominare. Una questione su cui riflettere.
Eleonora Nucciarelli