“ODISSEO: Non sono immortale.
CALIPSO: Lo sarai, se mi ascolti. Che cos’è vita eterna se non questo accettare l’istante che viene e l’istante che va? L’ebbrezza, il piacere, la morte non hanno altro scopo. Che cosa è stato finora il tuo errare inquieto?
ODISSEO: Se lo sapessi avrei già smesso. Ma tu dimentichi qualcosa.
CALIPSO: Dimmi.
ODISSEO: Ciò che cerco l’ho nel cuore, come te”.
Cesare Pavese, Dialoghi con Leucò
Nella remota isola boscosa di Ogigia abita una dea circondata da frutti, prati fioriti e sorgenti, in un luogo incontaminato dove regnano sovrani pace e godimento sconfinato.
La bellissima e immortale ninfa marina è Calipso, presente nel Canto V dell’Odissea, descritta in tutta la sua avvenenza, avvolta da un’eterna giovinezza in un luogo meraviglioso e affascinante.
Calipso è innamorata di Odisseo (Ulisse, nella tradizione latina), ne è talmente tanto dipendente da volerlo sposare e trattenere per sempre nella sua isola, donandogli l’immortalità; ma non c’è passione né idillio tale da sfidare ciò che un uomo può accumulare nel suo cuore: Odisseo, infatti, continua a provare nostalgia della sua patria, della sua casa, di Penelope.
Calipso è descritta con l’epiteto formulario di “nobile dea” ma assume un atteggiamento ambivalente: si mette in competizione con la sua rivale in amore, si oppone al volere del concilio degli dèi, tenta di convincere il suo amante a restare ma, suo malgrado, esaurite le proprie argomentazioni, si piega al volere di Zeus.
Non basteranno le delizie del locus amoenus e la bellezza perpetua di Calipso a trattenere Odisseo, che – finalmente libero – se ne andrà, sopra una zattera, con in petto la speranza di rivedere la propria terra e la propria sposa: Penelope.
Da cosa nasce questa esigenza di narrare, di raccontare storie? Probabilmente si tratta di una necessità insita nell’essere umano in quanto persona; di certo nasce da un bisogno, quello di dare senso e spiegazione all’esperienza e alla realtà e dall’urgenza di mettere ordine nel caos che caratterizza la vita, sin dai tempi remoti.
Il più antico documento mitico del mondo greco, infatti, risale a Esiodo il quale lega la genesi dell’Universo, la cosmogonia, all’origine degli dèi: la Teogonia. Secondo il racconto del poeta, dal caos avrebbero avuto origine terra e cielo e, successivamente, sarebbero nati tutti gli dèi allo scopo di garantire l’armonia del mondo.
Per lungo tempo i miti di Esiodo furono trasmessi oralmente dagli Aedi e dai Rapsodi, allo stesso modo i racconti concernenti Odisseo/Ulisse e la guerra di Troia confluirono nei poemi tradizionalmente attribuiti ad Omero, messi per iscritto intorno al VI secolo a.C.
In realtà, la teoria secondo la quale il cantore cieco Omero sia l’autore dei poemi epici in lingua greca Iliade e Odissea è piuttosto superata in quanto la cronologia delle opere e altri elementi significativi sono stati oggetto di numerosi studi successivi. Ciononostante, le mitiche donne presenti in questo poema di ritorno, di dolore e di nostalgia, prima fra tutte Calipso, appaiono come fari nel nostro immaginario collettivo e ci costringono a fare i conti con quella caducità che ci caratterizza, quella fragilità e incertezza che contraddistingue la nostra esistenza e la rende, non mi stancherò mai di ripetere, meritevole e degna di essere vissuta nella ragione in cui non ci è dato di sapere per quanto tempo potremo abitare questo immenso dono, che è la vita.
Eleonora Nucciarelli