Tutu, 90 anni, arcivescovo anglicano, vinse nel 1984 il premio Nobel per la Pace come simbolo della lotta nonviolenta contro il regime razzista. Ma dopo la fine dell’apartheid, dopo che Nelson Mandela era eletto presidente del nuovo Sudafrica, Tutu ideò e presiedette la Commissione per la Verità e la Riconciliazione (Trc), creata nel 1995, che in un doloroso e drammatico processo di pacificazione fra le due parti della società sudafricana, mise in luce la verità sulle atrocità commesse durante i decenni di repressione da parte dei bianchi. Il perdono fu accordato a chi, fra i responsabili di quelle atrocità commesse avesse pienamente confessato: una forma di riparazione morale anche nei confronti dei familiari delle vittime.
Viene solitamente accreditato per aver coniato l’espressione Rainbow Nation (“nazione arcobaleno”) per descrivere il Sudafrica. Questa denominazione, che si riferisce all’ideale della convivenza pacifica e armoniosa fra le diverse etnie del paese, fu in seguito ripresa da Nelson Mandela e divenne parte della cultura nazionale del paese.
Tutu è sempre stato attivo nella difesa dei diritti umani e ha usato la sua elevata posizione per lottare a favore degli oppressi, nonostante gli Stati Uniti d’America abbiano mosso verso di lui delle polemiche a causa della sua opposizione a Israele. Ha lottato per sconfiggere AIDS, tubercolosi, povertà, razzismo, sessismo, l’imprigionamento di Chelsea Manning, omofobi e transfobia. Ha redatto diversi libri con i suoi discorsi e le sue dichiarazioni: Piangere nel deserto (1982) e Speranza e sofferenza (1983), Nessun futuro senza perdono (1999) e Dio ha un sogno: una visione di speranza per il nostro tempo (2004).
Nell’annunciare la scomparsa del reverendo Tutu, il presidente Cyril Ramaphosa ha espresso, “a nome di tutti i sudafricani, profonda tristezza per la morte, avvenuta domenica, di una figura essenziale della storia” del Paese.