La canadese Margaret Atwood era già un’autrice molto conosciuta e apprezzata in ambito letterario (ha vinto per due volte il Booker Prize) e ogni anno viene inserita nella lista dei potenziali Nobel, ma è da poco che sta conoscendo un enorme successo con la serie tv tratta dal suo romanzo distopico del 1985: Il racconto dell’ancella. A quasi cinquant’anni dall’uscita in originale la casa editrice Ponte alle Grazie, ormai fedele distributrice dei suoi lavori in Italia, ripropone uno dei suoi primi romanzi, dal titolo Tornare a galla (traduzione di Fausta Libardi), con alcuni dei temi forti della Atwood: il corpo della donna, le dinamiche di coppia, il rispetto dell’ambiente in cui viviamo.
Una donna ritorna in Canada, alla ricerca del padre che è scomparso da qualche giorno dalla casa d’infanzia su un’isola di un lago nel Québec, una casa lontana soprattutto dalla civiltà “americana”: senza elettricità, acqua calda e con il cesso in un sentiero quasi al limitare della foresta. Insieme a lei ci sono il suo compagno, Joe, e una coppia sposata, David e Anna, che tentano di vivere questa sorta di avventura in maniera spigliata, giocosa. Ma la giovane donna si immergerà nei fantasmi della sua vita, nelle “stranezze” di una famiglia che cercava di non omologarsi alle altre. I due uomini stanno girando un film, vogliono riprendere le cose in cui si imbattono nel viaggio: Campioni sparsi sarà il titolo della pellicola. Come campioni sparsi sono quelli che appaiono alla ragazza durante il proseguimento della storia in una sorta di scambio continuo tra presente e passato con le immagini che d’improvviso si agitano nella sua memoria.
Lei era una pittrice ma per poter vivere si è messa a fare la cartellonista, cioè “manifesti, copertine, un po’ di pubblicità e di disegni per le riviste e ogni tanto un libro su commissione”. Ha avuto un marito che la soffocava e che le ha fatto fare un figlio, un figlio che le è stato tolto e quell’assenza per lei è atroce, come un’amputazione.
Il motore del romanzo dovrebbe essere la ricerca del padre, ma poi la prospettiva cambia ed è la ragazza, la figlia, che cerca le tracce dei cambiamenti avvenuti nella sua vita, le tracce della sua “morte” civile, ma anche di quella della civiltà cosiddetta umana che pensa di poter spadroneggiare sulla natura, di poterla manipolare a suo piacimento con una foga quasi barbarica. Non a caso i temi ambientalisti sono uno dei tratti caratteristici della produzione letteraria della scrittrice canadese; una delle scene più scioccanti, una delle scene chiave del romanzo è quella nella quale viene descritto l’airone ucciso da parte di cacciatori e appeso all’albero in una sorta d’iconografia cristologica.
Era una dimostrazione di forza, di sopraffazione sul territorio, questo era quello che avevano fatto “gli americani”, i quali avevano questo modo di rapportarsi alle cose che non servivano a sfamarli, che non si potevano “addomesticare”. L’unica soluzione era quella di farne dei trofei oppure, come in questo caso, di distruggerle, altrimenti la noia li avrebbe uccisi.
Niente è comunque come sembra, ci dice la Atwood. Gli americani erano dei canadesi che avevano messo sulla canoa una bandiera americana, la quale invece era il simbolo della squadra dei Mets, quella per cui tifavano. Rappresentano quello che ci riservava il presente, quello in cui siamo immersi in questi stessi anni tra epidemie, cambiamento climatico e problemi razziali.
Recensione di Fabio Cozzi
“Tornare a galla” di Margaret Atwood, Ponte alle Grazie
Pagine 240
€ 16,80
€ 9,99 Ebook